Tecnica di pesca
La pesca alla gallinella si pratica a bolentino, in deriva,
su fondali fangosi e detritici, con profondità che
vanno mediamente dai 20 ai 25 metri. Le poste ideali sono
situate in genere tra le 6 e le 15 miglia dalla costa. La
sensibile distanza da percorrere per raggiungere queste
batimetriche è data dalla particolare morfologia
dell'Adriatico Settentrionale, che si contraddistingue per
il lento degradare del fondale.
L'attrezzatura ideale è composta da quattro o quante
più canne si è in grado di gestire individualmente,
dotate di robusti mulinelli con rapporto di recupero abbastanza
basso, sui quali montare del buon filo, preferibilmente
rigido e con limitato effetto memoria.
E' consigliabile posizionare le canne su dei solidi portacanne,
giusto per evitare spiacevoli perdite a mare, causate dalle
improvvise e violente abboccate con le quali abitualmente
le grosse gallinelle usano segnalare la loro presenza.
Più lunatico che sospettoso, questo triglide non
richiede l'utilizzo di lenze particolarmente sottili. Pertanto,
l'impiego di una lenza madre del 35-40, con terminale del
30, sono più che sufficienti per contrastare con
relativa tranquillità le possenti testate di questa
singolare preda.
La montatura ideale, molto semplice da eseguire, si compone
di un piccolo accessorio "mutuato" dal carp-fishing,
il cosiddetto "antitangle"; oppure, come efficace
alternativa, il solo anellino di plastica con moschettone
che lo compone.
Questo, una volta infilato nella lenza madre, vi scorrerà
liberamente, e grazie al piombo intercambiabile fissato
al moschettone, oltre ad offrire una minima resistenza,
nonché meglio segnalare le "toccate" della
preda, permetterà, all'occorrenza, una rapida sostituzione
della zavorra piombata. Una perla colorata, oppure, meglio
ancora, un piccolo "paracolpi" di silicone, andrà
ad interporsi tra l'accessorio di cui sopra ed un ulteriore
moschettone, sul quale si provvederà successivamente
a fissare il terminale.
Un po' più articolata la spiegazione per quanto concerne
il terminale: non più lungo di 60-70 centimetri,
si compone di un doppio amo da legarsi all'estremità
inferiore, mentre un altro amo, necessariamente ad occhiello,
verrà successivamente infilato, come fosse la cruna
di un ago, attraverso l'asola che avremo precedentemente
eseguito nell'estremità superiore del terminale stesso.
Per mezzo dell'asola si andrà successivamente a
collegare il terminale alla lenza madre, attraverso il moschettone
di cui precedentemente accennato. La dimensione degli ami,
strutturalmente robusti, andrà ovviamente commisurata
alle dimensioni dell'esca utilizzata.
Prima di posizionare l'amo ad occhiello si deve procedere
all'operazione d'innesco.
Bisogna, pertanto, munirsi di un ago adatto allo scopo,
peraltro facilmente reperibile in commercio. Una volta inserita
l'asola del terminale nella cruna dell'ago da innesco, entrando
dalla bocca, si attraversa l'intero corpo dell'esca, che,
va ricordato, sarà preferibilmente una piccola sarda,
oppure una più gustosa, ma fragile, alice, per poi
uscire il più vicino possibile alla coda. Dopo questa
operazione, eseguita con attenzione per non compromettere
l'integrità dell'esca, si procederà all'inserimento
dell'amo con l'occhiello, per andarlo poi a conficcare in
prossimità della coda.
Questa, apparentemente, complessa operazione, più
difficile da spiegare che da eseguire, permetterà
di mantenere l'esca ben stesa e posizionata con la testa
rivolta verso il basso, in modo da apparire, nella sua integrità,
un piccolo pesce in difficoltà.
La gallinella non esiterà ad attaccare avventandosi
sulla testa, dove troverà ben celato il nostro doppio
amo. Seguirà un breve, ma intenso, combattimento,
nel corso del quale la preda di taglia si segnalerà
con violenti strattoni, indirizzati verso il fondo, per
poi cedere e salire verso la superficie compiendo movimenti
concentrici, associati a blandi tentativi di fuga, fino
a comparire, infine, nella sua smagliante e coloratissima
livrea.
Una volta posta nella nassa, continuerà a segnalare
la propria presenza emettendo strani suoni, prodotti dalla
sua particolare vescica gassosa, e paragonabili al verso
delle galline durante la cova. Ecco così facilmente
svelata anche la curiosa origine del suo nome.
Cortomaltese
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